Uno dei parametri che vengono più spesso citati quando si valuta la qualità degli alimenti, soprattutto da parte dei proprietari, è la digeribilità delle proteine che compongono un alimento da fornire al cane e al gatto. Si tende a pensare che una digeribilità maggiore evidenzi un alimento migliore, una cosa vera almeno in senso generale; spesso, però, non ci si sofferma su che cosa sia la digeribilità, e soprattutto su quali siano le conseguenze di una dieta con proteine meno digeribili. Cerchiamo di fare chiarezza, soprattutto perché (cosa da non dimenticare) la digeribilità è solo uno dei tanti fattori che costituiscono la qualità generale di un alimento: pensare che un alimento, nello specifico la carne, sia migliore solo perché è più digeribile rispetto ad un altro alimento è un errore, perché i fattori da considerare nella valutazione sono tanti e diversi.

In questo articolo ci occuperemo, quindi, proprio della digeribilità; scopriremo che cos’è e qual è la sua influenza diretta sull’utilizzo di un alimento nel cane e nel gatto.

Ho parlato dell’argomento nel seguente video, i cui concetti trovate riassunti nell’articolo più in basso.

Che cos’è la digeribilità?

Iniziamo a dare una definizione a questo termine, perché se non si definisce può essere difficile comprendere di che cosa stiamo parlando.

La digestione è definita, in ambito fisiologico, come la funzione dell’organismo per la quale gli alimenti ingeriti sono scomposti, eventualmente modificati e resi disponibili per l’assorbimento.

Questa definizione ci permette di capire che la digestione e l’assorbimento dei nutrienti sono due cose diverse, perché l’assorbimento è un passaggio successivo, quello che compiono solo alcune delle sostanze “semplificate” e scomposte dal processo di digestione che possono poi entrare all’interno del circolo ematico, quindi arrivare agli agli organi diversi dall’intestino. Se un alimento complesso non viene digerito, non può essere assorbito, finisce nelle feci e non interessa mai gli altri organi.

Da questo si può stabilire il coefficiente di digeribilità di un alimento, che è definito come (Case L., Canine and Feline Nutrition, 3° ed, 2010, pag. 6):

La proporzione tra il nutriente introdotto (per via orale) che diventa effettivamente disponibile per l’assorbimento intestinale.

Da queste definizione si può capire che un alimento ha il coefficiente di digeribilità massimo quando, dopo esser stato digerito diventa completamente assimilabile dall’organismo, minimo (ovvero nullo) quando nessuna delle sue componenti può essere assimilata dal corpo dell’animale. Una digeribilità di un alimento del 100% significa, quindi, che l’animale lo assorbe completamente, e che nessuna parte di quell’alimento si ritrova nelle feci; viceversa, una digeribilità dello 0% indica che tutto l’alimento è finito nelle feci (un pezzo di legno mangiato da un cane ha digeribilità dello 0%, per esempio, perché non viene assorbito).

La digeribilità di un alimento deve prendere in considerazione diversi parametri:

  • Va considerato, naturalmente, l’alimento in sé, che può aumentare o diminuire la digeribilità a seconda della sua struttura di base (una piuma, ad esempio, ha una digeribilità prossima allo 0%) e del trattamento tecnologico che eventualmente ha subito (una bistecca bruciata dal fuoco ha una forte perdita di digeribilità, una bistecca idrolizzata, cioè predigerita per via enzimatica in laboratorio, ha invece un aumento di digeribilità).
  • Bisogna considerare anche l‘animale, perché la digeribilità dipende dalla funzionalità degli organi digestivi; un alimento molto digeribile come l’uovo diminuirebbe la sua digeribilità in un cane con gravi problemi gastrici, rispetto ad un cane completamente sano.

 

Quali sono i parametri che influenzano la digeribilità?

I parametri che influenzano la digeribilità degli alimenti sono diversi, alcuni più importanti, altri meno, che possono dipendere da entrambi i fattori considerati. Vediamo quali sono i più importanti:

  • Lo stato di salute dell’animale, che comprende i danni che possono interessare lo stomaco e il pancreas; in generale la digeribilità di tutti gli alimenti tende a diminuire quando questi organi sono danneggiati;
  • La struttura proteica dell’alimento: proteine diverse e disposte in modo diverso hanno digeribilità diverse, quindi non si può fornire “carne” all’animale, ma bisogna focalizzare l’attenzione sul tipo di carne e, per gli animali di partenza più grandi, anche sul taglio di carne che si fornisce; cani e gatti hanno una capacità di digerire la carne superiore a quella dell’uomo, ma è un taglio di carne composto per la quasi totalità da tessuto muscolare risulta più digeribile di un taglio composto per lo più da tessuto connettivo;

Feci di volpe, ricoperte di peli, cioè proteine (per lo più) non digeribili.

  • La cottura dell’alimento: la digeribilità più aumentare o diminuire in base al tipo di cottura, anche se solitamente diminuisce. Un esempio di aumento di digeribilità riguarda il già citato connettivo, in cui la denaturazione proteica delle fibre collagene le rende maggiormente digeribili; la cottura del muscolo, invece, tende a diminuire la digeribilità principalmente perché si va a perdere l’acqua che si trova all’interno delle fibre muscolari. Un trattamento termico che riduce molto la digeribilità è l’estrusione, il processo termico necessario per fare i croccantini; questo processo diminuisce la digeribilità di circa il 12%, mentre la cottura al microonde la fa calare solo dell’1% (rispetto alla carne cruda), come mostrato da questo studio.
  • Nelle diete casalinghe cotte, la reazione di Maillard (che avviene a temperature che superano i 140 gradi) causa una diminuzione di digeribilità delle proteine a causa della loro interazione con gli zuccheri della carne, reazione catalizzata dalle alte temperature; la reazione è facilmente individuabile anche ad occhio, a causa del cambiamento di colore;

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  • Le proteine vegetali tendono ad essere meno digeribili rispetto a quelle di origine animale, anche se al momento non abbiamo una panoramica completa nel cane e nel gatto: gli studi hanno, infatti, valutato solamente poche proteine vegetali;
  • La taglia del cane, per i cani che possono avere anche taglie molto diverse, può essere importante: in uno studio comparativo, la capacità di digerire le proteine di uno stesso alimento è risultata superiore nei cani di taglia grande che nei cani di taglia piccola;
  • La presenza di sostanze anti-nutritive: in alcuni alimenti, come i legumi; sono presenti gli inibitori della tripsina, che diminuiscono l’attività di uno degli enzimi che digerisce le proteine nel cane e nel gatto, causando così una perdita di digeribilità;
  • La presenza di fibra, soprattutto insolubile, e di carboidrati all’interno della dieta; se i quantitativi sono alti, gli enzimi gastrici e pancreatici possono non riuscire a raggiungere fisicamente le proteine, che vengono quindi digerite in misura minore.

Tutti questi fattori ci fanno capire come sia praticamente impossibile valutare la digeribilità di un alimento, perché i parametri da prendere in considerazione sono davvero troppi, ed è quasi impossibile (per tempi e costi) studiare la digeribilità delle proteine nel singolo cane e nel singolo gatto.

Ma cosa succede se le proteine non vengono digerite?

Le conseguenze della scarsa digestione delle proteine sono diverse, e possono essere di poca importanza dal punto di vista clinico, oppure creare problemi più o meno gravi.

Naturalmente, se le proteine non vengono digerite  non vengono assorbite, quindi (venendo eliminate con le feci) il cane o il gatto non mangia (pensiamo a fare un pasto di piume intere, che finiscono tali e quali nelle feci, che equivarrebbe a non far mangiare affatto il cane o il gatto). Per questo, se le proteine sono poco digeribili, in generale, è opportuno aumentare il loro quantitativo nella dieta per evitare carenze proteiche.

Altre conseguenze di una scarsa digeribilità possono essere:

  • Nessun danno particolare: lo abbiamo quando le proteine indigerite sono espulse con le feci senza creare alcun danno. E’ il caso dei peli, dell’animale stesso (leccamento) o delle prede, che sono composti di cheratina, molto difficile da digerire; è un fenomeno frequentissimo in natura, e non causano danni a meno che un pasto sia costituito completamente da peli o da piume interi (una cosa praticamente impossibile).
  • Le proteine non digerite, o parzialmente digerite, possono essere utilizzate da alcune specie batteriche per formare composti organici come la putresceina e la cadaverina. Queste sostanze sono tossiche, ma ad una dose più alta rispetto a quella assorbita dall’intestino, come mostra questo lavoro scientifico svolto sui ratti; per lo più, queste molecole finiscono quindi nelle feci, rendendole maleodoranti ma senza portare a danni particolari; una conseguenza negativa della loro presenza può essere, tuttavia, un’influenza in negativo sul microbiota intestinale, perché viene favorita la crescita di batteri in grado di utilizzare le proteine indigerite come nutrienti, piuttosto che la fibra o altri composti;
  • Alcune proteine possono essere assorbite, anche se non sono state digerite nella prima parte dell’intestino. E’ il caso delle proteine caratterizzate da un peso molecolare inferiore a 70 Kilodalton (sono proteine comunque piccole, ma molto più grandi dei singoli amminoacidi che dovrebbero essere, teoricamente, il prodotto finale della digestione). Se sono assorbite possono però entrare in circolo, e se l’animale ha sviluppato un’ipersensibilità verso queste proteine può manifestarsi una reazione avversa al cibo (Case L., Canine and Feline Nutrition, 3° ed, 2010, pag. 397). Naturalmente non tutte le proteine che vengono assorbite in questo modo causano le reazioni, ma è un effetto da considerare quando si sospetta una reazione avversa al cibo.

Quanto è importante, quindi, la digeribilità delle proteine?

La digeribilità proteica è un fattore molto variabile, sia in base all’alimento che in base all’animale; alla luce di questo, la scarsa digeribilità di un alimento può avere sì conseguenze gravi, ma anche non avere alcuna conseguenza negativa.

Di solito, dal punto di vista veterinario, si considera il problema della digeribilità solamente quando il cane o il gatto manifesta sintomi che sono collegabili ad essa, come problemi infiammatori dell’apparato digerente o altri tipi di reazioni avverse al cibo; a questo punto si considerano i tantissimi parametri che prendono in considerazione il trattamento della carne, la qualità della carne, l’animale da cui proviene, e poi la parte non prevalentemente proteica della dieta (quindi i carboidrati, i grassi e la fibra) l’età e lo stato di salute del paziente

I fattori da considerare sono davvero tanti, ed è per questo che in caso di patologie c’è necessità di un veterinario che analizzi i sintomi e faccia delle diagnosi differenziali anche con patologie che non sono legate all’alimentazione, perché non sempre un problema che sembra alimentare poi, alla fine, lo è davvero.

Per gli animali sani, cercare di fornire alimenti più digeribili è in generale positivo, come abbiamo visto, ma sarebbe sbagliato cercare di migliorare un’alimentazione solo per la sua digeribilità; la digeribilità è solo uno dei tanti parametri da considerare, insieme all’adeguatezza nutrizionale, la sicurezza alimentare e l’animale stesso quando si sceglie un tipo di alimentazione da seguire.

 

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